
PARLANO DI NOI | RASSEGNA STAMPA
Dall’Oltrepò Mantovano al mondo. Dai territori alla Terra. Le sfide di una scelta territoriale
CULT Agenzia di stampa | 8 Ottobre 2025
Dal cuore dell’Oltrepò Mantovano emerge una riflessione sul futuro dei territori come luoghi di vita, lavoro e relazione. Attraverso il contributo dell’esperienza cooperativa, si individuano quattro sfide decisive – pedagogica, conoscitiva, manageriale e culturale – per rendere il territorio risorsa comune. Un percorso che interroga il ruolo della comunità nella transizione digitale ed ecologica.
“Scegliere il Territorio” è il titolo proposto da Confcooperative Mantova e Consorzio Oltrepò Mantovano per un convegno di confronto su sviluppo locale e aree interne a cui ho partecipato con un contributo sull’apporto che si può attendere dall’esperienza cooperativa.
Punto di presa e leva per la scalata (il dilemma delle aree interne lo è) è stata la presentazione della Strategia per l’Area Interna dell’OltrePo Mantovano presentata in apertura da Alberto Borsari, sindaco di Borgo Mantovano e Presidente del Consorzio. La Strategia è una buona notizia per il suo territorio perché è desiderata, ordinata, ben disciplinata e con progressive opportunità partecipative. La stessa Confcooperative è attesa con un suo contributo seppur non presente nel tavolo iniziale. Una bella occasione. Presenti Elena Granata, che ha introdotto all’urgenza di un ribaltamento delle rappresentazioni delle aree non metropolitane come interne, abbandonate e irrimediabilmente perse alla vivibilità. L’idea stessa delle aree rurali e montane come vuote – ha argomentato – si dimostra cieca di fronte, invece, al patrimonio ambientale, culturale ed economico che queste conservano nonché fondamentale allo sviluppo di tutto il paese. Attuale la “denuncia” che, con lo stesso tono, i Vescovi italiani hanno rivolto alle istituzioni in quegli stessi giorni. Alessandro Azzi, presidente delle Federazione delle Banche di Credito Cooperativo della Lombardia, ha ricordato come l’economia cooperativa e in particolare quella del credito è già impegnata nella dimostrazione viva, concreta ed efficace di queste argomentazioni.
Per me è stata l’occasione di una sintesi quasi didascalica di ciò che c’è e ciò che manca ancora al dibattito e alle strategie che ricorrono ormai frequentemente sulla questione territoriale. Esprimo così l’oggetto, senza ulteriori specificazioni geo/urbano/orografiche perché sono convinto – è questa la premessa di fondo – che il dilemma non sia più e da tempo su cosa fare delle aree non metropolitane, ma cosa fare del territorio tutto. Dello spazio o meglio ancora dell’elemento che abbiamo sotto i piedi e attorno nella prossimità che ci è presente. Vorrei superare la facile obiezione di una prossimità non più solo fisica ma del tutto e irreversibilmente ibrida a far ritenere novecentesca la premessa e il suo fondo. La condivido ma non supero due controdeduzioni a mio parere ancora solide: la prima è contenuta nell’obiezione stessa, perché se parliamo di ibrido e non di piena e totale smaterializzazione dobbiamo ancora ben considerare la plausibilità della sua parte fisica; la seconda è invece “politica”, perché è chiaro – per le percezioni comuni che raccogliamo, i dati certi di salute della popolazione e il fenomeno del tutto fisico e massivo del suo inurbamento metropolitano – che l’abbandono drastico della parte fisica verso l’assolutismo digitale è uno shock che non possiamo permetterci e dobbiamo compensare a lungo e strutturalmente.
Se non risolviamo ontologicamente il dilemma dei luoghi (così diremo dei territori denominati che assumono ruolo nella vicenda che poniamo) assumendo la necessità collettiva di assicurarne una piacevole vivibilità come fondamentale alla transizione digitale e insieme a quella ecologica, le singole questioni che lo incarnano, da quella della montagna a quella comunitaria, saranno, malgrado la genuinità dell’impegno che portano, battaglie di retroguardia.
Perché dico “dilemma”? In realtà per l’intuizione raccolta da una conversazione con Simona Magliani (Brigante del Cerreto) che i lettori più attenti di Letture Lente ricorderanno e citerò al termine, ma estendendone il valore e l’accezione per la gravità e la complessità profonda, a tratti straziante, delle sfide che pone. Proprio in relazione alla Strategia dell’OltrePoMantovano e consegnandola alle sue parti come apporto cooperativo, l’espressione trova ragione – mi pare sufficiente – nelle quattro sfide che la sua realizzazione può considerare. Forse anche disordinandosi o come occasione per rivisitare la sua disciplina e quella che vediamo applicata anche altrove.
È forse presuntuoso trarre dall’esperienza cooperativa (specifica) apporti e obiettivi per un programma pubblico (generale) ma la possibilità che il confronto mantovano ha consentito di elaborare non va sprecata e ne accetto il rischio. Peraltro, più che una legittimazione il movimento cooperativo dovrebbe trarne una responsabilità e un progetto. C’è in gioco l’effettività della funzione sociale riconosciuta al modello cooperativo dalla Costituzione Italiana che va oltre l’applicazione formale della sola mutualità civilistica nella quale alcune cooperative si sono da tempo rifugiate.